Il rito della vendemmia è per Tommasi un appuntamento che vede diverse date di avvio, da agosto a fine ottobre, in ragione delle zone di produzione e delle cantine del gruppo: ben sei, da Nord, al Centro, al Sud. Ecco perché, seguire prospettive ed andamento della vendemmia in casa Tommasi, significa monitorare buona parte dello scenario vitivinicolo italiano, con le sue aspettative, collegate logicamente agli avvenienti climatici e tecnico-produttivi dell’annata.

Insomma, ogni vendemmia è diversa dalle altre e ogni produttore e ogni vitigno ha le sue prerogative. Occorre sapere interpretare l’annata, comprendere che uva si ha e capire che vino avremo.

Rinuncereste mai a una vacanza di qualche settimana in piena estate, per prendervi le ferie nel periodo della vendemmia? E non per una visita in vigna, ma per andarci a lavorare? Non credo.
Eppure, una volta funzionava esattamente così:
«La vendemmia era un momento di festa per tutto il paese – racconta Sergio Tommasi, uno dei quattro fratelli della terza generazione. – Tanti addirittura anziché partire venivano ad aiutarci nei campi. Dalle montagne scendevano le cosiddette “portarine”, il cui compito era quello di prendere le ceste piene di grappoli, portarle in fondo al filare e spostare l’uva sulle casse di legno. Là venivano pesate e divise tra il mezzadro e il contadino per poi portarle a pigiare. Oggi invece è un lavoro a tutti gli effetti, anzi, non possono venire più nemmeno i familiari se non hanno il titolo per farlo».

Non come anni fa, quando bambini di otto anni accompagnavano il nonno a raccogliere l’uva: «Ricordo l’emozione di andare a verificare a punto fosse il carico dell’uva per poi organizzare i lavori in cantina» – racconta Fabio Mecca Paternoster, bisnipote di Anselmo Paternoster e oggi enologo responsabile dell’omonima cantina icona del Vulture.

Che la vendemmia fosse una tradizione vecchia come il mondo, quello è consolidato, almeno per puri motivi di logica. Senza vendemmia non sarebbe banalmente possibile fare il vino, e tutti quei lunghi filari di vigne rimarrebbero con i frutti appesi fino all’anno seguente. A cambiare è il modo in cui viene fatta, e non solo per le evoluzioni tecnologiche dei macchinari, ma anche per motivi legati al cambiamento climatico.

«Una volta, quando ero piccolo, la vendemmia in Valpolicella Classica era fatta ad ottobre. Il mattino era freddo e a volte durante il giorno bisognava perfino accendere il fuoco per scaldarsi le mani. Poteva capitare che pure nevicasse». Ricorda con un sorriso Giancarlo Tommasi, enologo responsabile di Tommasi. «Durava in tutto 20 o 25 giorni, oggi si si comincia la vendemmia a metà settembre e si lavora un mese abbondante. Senza contare che gli ettari di proprietà sono molti di più, che le tenute sono in diverse zone con tipologie di uve differenti: dal pinot grigio che di solito iniziamo a vendemmiare a fine agosto, passando per la turbiana sul Lago di Garda per il nostro Le Fornaci Lugana fino alla Corvina, la regina delle uve della Valpolicella».

Un tempo la vendemmia veniva fatta esclusivamente a mano, mentre oggi per alcune tipologie di uva si procede con la vendemmia meccanica, con il vantaggio di raccogliere rapidamente le uve più sensibili e delicate al giusto punto di maturazione, evitando surmaturazioni che potrebbero pregiudicare in seguito il lavoro in cantina.  È una questione di equilibrio, e di fede nel tempo.

«La tempistica di certi interventi è fondamentale per intraprendere bene ciò che abbiamo fatto durante l’intero anno – racconta Emiliano Falsini, enologo responsabile a Casisano, Montalcino – Una grande vendemmia è quella che ti permette di raccogliere le uve con una maturazione perfetta e capaci di esprimere al meglio il vitigno e il territorio di appartenenza».

Una questione di bilanciamento anche per Fabio Mecca Paternoster, concorde nell’affermare che bisogna essere in grado di capire il momento esatto per poter portare l’uva in cantina, ed è possibile determinarlo tramite continui assaggi e analisi quotidiane. Anche perché, come ricorda Giancarlo Tommasi:

«Se non si parte da un’ottima gestione agronomica del vigneto è impossibile produrre un grande vino, in cantina non è possibile sopperire a quello che il vigneto non ha in maniera naturale».