Veneto terra di amici, Verona terra d’amore” cantava Jovanotti in un suo ritornello dedicato alla città di Romeo e Giulietta. Un luogo che vanta tradizioni romane e romantiche, culturali ed enogastronomiche, tra cui il vino e l’Arena, due elementi che colorano da almeno un secolo l’estate veronese. Dalle sue notti più calde di fine giugno a quelle miti di inizio settembre. All’ombra del lago di Garda con un bicchiere di Le Fornaci Lugana doc, o durante una passeggiata tra i campi pronti per la vendemmia con un calice di Valpolicella doc. Perché solo due cose l’innalzarsi delle temperature non può fermare: una buona bottiglia di vino e il consueto appuntamento con l’opera. Una tradizione che vanta anni e anni di conclamato successo, con lavori che portano il nome di artisti come Riccardo Cocciante o Riccardo Muti, la cui ultima Aida ha aperto la stagione lirica 2021. Ma per capirne le origini bisogna fare un passo indietro.

Era il 1913 – gli stessi anni in cui anche Tommasi iniziava a far conoscere il proprio nome per le vie della città – e per la prima volta l’Aida portò in scena le meraviglie dell’opera.

«Credo che sia l’opera più areniana in generale, è difficile che qualcuno non la associ all’Arena di Verona come grande manifestazione visiva e vocale».

Alberto Gazale, baritono nato a Sassari, sorride mentre sul palco dell’Arena si prepara a portare in scena Amonasro, padre di Aida nell’omonima opera di Verdi, a 22 anni dalla prima volta in quel ruolo. Verona è stata la sua seconda casa, qui ha gettato le basi dell’enorme successo che lo ha portato a esibirsi sui teatri più prestigiosi del mondo. Dalla Fenice, alla Scala, passando per il Wiener Staatsoper di Vienna e il Teatro Bol’šoj di Mosca.

«Artisticamente sono nato quasi in Arena, la mamma di tutta l’arte veneta. Nel 1999 ho fatto la mia prima Aida qua, ma nel ‘98 avevo debuttato con “Il ballo in maschera” (opera di Giuseppe Verdi, ndr) con la regia di Giuliano Montaldo, la prima della stagione. Per me tornare a Verona quasi ogni anno è veramente un grande riconoscimento e una grande gioia».

In platea intanto prendono posto gli spettatori, per un’altra serata sold-out. Italiani, stranieri, coppie e persone sole, adulti ma anche bambini. Ventagli colorati da anni svolazzano tra le sedie, o calici di vino per accompagnare lo spettacolo.

«Non potevo avere dimora in Valpolicella e non amare i grandi vini veneti e veronesi, – sottolinea Gazale, – l’Amarone in primis, ma anche Ripasso, Recioto e tutti quei vini che hanno fatto la storia. Diciamo che il vino ha molto a che vedere con l’arte. È fatto di sensazione, psicologia, abbinamenti ed emozioni, e la combinata grande vino e grande rappresentazione artistica è l’apoteosi. Ho conosciuto pochi artisti ben navigati che non avessero passione anche per l’enologia che fa parte della nostra cultura radicatissima. Una delle cose migliori che sappiamo fare».

Nelle gallerie dell’Arena gli artisti iniziano a prepararsi per la recita: qui si sentono i loro vocalizzi, mentre le comparse mezze truccate e mezze vestite corrono da una parte all’altra dei corridoi. Anche perché in Arena ogni sera è una nuova sfida.

«Scegliere l’opera preferita è un po’ come scegliere tra i figli. Dipende dal regista, dal direttore d’orchestra, cambiano i colleghi e la stessa opera può avere o meno grande fascino. Ma la cosa importante è amare soprattutto quell’allestimento, perché la forza dell’opera è l’estemporaneità. Ogni recita e ogni sera sono diverse dalle altre».

Così come ogni bicchiere di vino può portare a un risvolto diverso, soprattutto in Valpolicella, dove il percorso sensoriale dal Rafaèl Valpolicella Classico Superiore doc, al Ripasso Valpolicella Classico Superiore doc fino all’Amarone della Valpolicella Classisco docg è un’esperienza di armonia senza fine, lo testimoniano anche le ottime recensioni del noto critico James Suckling.